Il fallimento dei retailers statunitensi
Nei primi mesi del 2018 il retail statunitense ha subito dei duri colpi. Già lo scorso anno, i retailers hanno presentato istanze di fallimento a un tasso record e tale tendenza sembra continuare nel 2018.
Diamo uno sguardo ai rivenditori che hanno presentato piani per ristrutturare, trovare un acquirente o liquidare attraverso il modello Channel 11 (procedura di fallimento regolata dalla legge americana).
Per dirlo senza mezzi termini: l’anno scorso è stato un anno triste per alcuni rivenditori.
Questi rivenditori includono quelli con un alto tasso di debiti, coloro che sono dipendenti dai centri commerciali e le cui attività sono particolarmente suscettibili all’esplosione di venditori online e off-market di Amazon nel mondo fisico (pensa ai grandi magazzini e ai rivenditori specializzati, specialmente quelli che vendono abbigliamento).
A dicembre 2017 erano stati registrati 26 principali fallimenti al di venditori al dettaglio, secondo i dati di AlixPartners. I numeri hanno superato quelli del 2008, quando una grave recessione ha devastato il settore, dove vennero registrati 20 fallimenti. Alcuni di questi retailers prevedono un rallentamento dei prestiti bancari e le chiusure di negozi.
Dall’inizio dell’anno, tre importanti rivenditori hanno presentato il modello Channel 11. Analizziamo queste situazioni.
1. KIKO USA
L’11 gennaio Kiko USA ha depositato l’istanza di fallimento, e come obiettivo ha rimarcato la riorganizzazione con un piano che prevede la chiusura della maggior parte dei punti vendita e la concentrazione delle risorse sull’e-commerce.
Kiko USA ha giocato in un settore di bellezza innovativo, e ha raggiunto il successo nei centri commerciali. Però il traffico dei centri commerciali è diminuito, quindi ha lanciato una nuova linea di su Amazon, utilizzando il suo programma “Fulfillment by Amazon”. Quel business, insieme al sito web di Kiko, stava crescendo a due cifre prima della presentazione del Channel 11 dell’azienda. Ma le vendite fisiche si sono ridotte troppo rapidamente perché Kiko potesse adeguare i costi del programma di Amazon in parallelo con le perdite del retail fisico. La società ha presentato istanza di protezione dalla bancarotta a gennaio con l’intenzione di chiudere tutti i suoi negozi al dettaglio, tranne cinque, entro la fine di febbraio.
L’amministratore delegato di Kiko USA ha dichiarato in un deposito giudiziario che il rivenditore ha un piano strategico incentrato sulle sue offerte, sui negozi rimanenti e sull’attività di e-commerce.
In qualche modo, il fallimento dei negozi fisici di Kiko rispecchia la tendenza che stiamo osservando negli Stati Uniti: grandi catene che rinunciano agli spazi di vendita offline, schiacciati dalla concorrenza operante online e off-market.
Questa problematica coinvolge tutti i settori: abbiamo visto con Kiko un esempio di brand specializzato sul makeup e, più in generale, sul lifestyle.
2. BON-TON
Non vengono risparmiate le grandi catene di grandi magazzini, come Bon-Ton.
A dicembre, Bon-Ton non è riuscito a pagare un interesse di svariati milioni di dollari, entrando in un periodo di garanzia che è scaduto mentre la società negoziava con i suoi istituti di credito. Il rivenditore ha depositato il Channel 11 il 4 febbraio con accordi per oltre 700 milioni di dollari in finanziamenti in bancarotta per mantenere le luci accese nei suoi department store. La società ha ottenuto l’approvazione del tribunale per il nuovo finanziamento, subito dopo le obiezioni di alcuni obbligazionisti che chiedono a Bon-Ton di liquidare immediatamente in caso di bancarotta, definendo le prospettive di sopravvivenza del rivenditore in un settore in forte calo come quello dei grandi magazzini “nel migliore dei casi, incerte e improbabili.”
3. A’GACI
Un altro brand statunitense che ha subito un duro colpo è A’gaci.
La recente espansione fisica di A’gaci è stata particolarmente scadente, a causa del declino del traffico all’interno centri commerciali. Dopo aver aperto 21 nuovi negozi negli ultimi due anni, A’gaci sta cercando di chiudere 49 negozi, quasi il 65% del suo ingombro.
L’AD della società ha dichiarato in un tribunale che i grandi uragani dell’anno scorso “hanno devastato” alcuni dei loro negozi più redditizi. I guadagni del brand sono diminuiti di 7,2 milioni di dollari nell’ultimo anno. Gli uragani, i guadagni, la sovra espansione e problemi con un sistema software aziendale si sono sviluppati tutti insieme hanno spinto la società a presentare una richiesta di protezione in caso di fallimento a gennaio.
Ora il rivenditore, fondato nel 1971 (quindi brand dotato di storicità), sta cercando di ridurre la sua impronta fisica e concentrarsi sui suoi negozi più redditizi, espandendo anche l’online.
Dopo tutti questi dati negativi, ci chiediamo quale sarà il futuro del retail in Italia.
Se tanti retailers statunitensi hanno subito un duro colpo, la paura che questa tendenza influenzi anche i rivenditori Italiani è elevata. Non siamo stati al sicuro dalla crisi finanziaria del 2008, e il crollo del settore retail fisico sembra essere dietro l’angolo.
Come evitare di essere sorpresi da questa caduta, giocando d’anticipo su una possibile crisi del retail?
Bisogna necessariamente analizzare i casi di fallimento, e successivamente spostare l’attenzione sui casi di successo: brand che stanno innovando a tutto tondo, e che rappresentano un tasso crescente di espansione, anche per quanto riguarda il retail offline.
Eccellenze del genere si possono trovare nelle strategie di Eataly, Tiger e IKEA, per esempio.
La leva che abbiamo osservato che hanno iniziato negli ultimi anni ad utilizzare i retailers è quella di aprire negozi di prossimità evoluti, ovvero trasformando l’atto di acquisto in un’esperienza memorabile. Non è da meno anche l’utilizzo dell’omnicanalità, tecnica che permette di creare sinergia tra i diversi canali di vendita di un brand. La digitalizzazione è ormai il centro di una storia di successo.
La parola chiave è quindi una sola: innovazione.